CARTELLO N 6 "POZZI DA BUTTO E CISTERNE MEDIEVALI"
N 6 POZZI DA BUTTO E CISTERNE MEDIEVALI
Nella Carta del Popolo di Orvieto (la raccolta degli atti legislativi) del 1324 fu emanata una legge igienica piuttosto severa per evitare la proliferazione di rifiuti che venivano gettati dalle abitazioni in maniera piuttosto disparata sul suolo pubblico. La presenza del tufo per Orvieto costituiva una materia particolarmente plasmabile per lo scavo di contenitori in cui accumulare tutti i rifiuti delle famiglie e delle comunità evitando la loro dispersione a cielo aperto. Lo scavo di tali cavità artificiali erano definite con la sigla di: “pozzi da butto” o “butti” , meglio noti come puteis nel latino medievale. Gli scavi regolati dalle autorità comunali avvenivano al di sotto delle abitazioni, in corrispondenza dei muri perimetrali, nei quali veniva sagomato un canale quadrangolare che da ogni piano dell’abitazione permetteva ai rifiuti di confluire nelle cavità sotterranee. I pozzi assunsero forme disparate: da quelli cilindro-ovoidi a quelli rettangolari a pareti concave a quelli quadrati a pareti verticali fino a quelli costruiti in muratura; raggiungevano anche profondità differenti a seconda del potere economico dei committenti: dai quattro, ai sei, agli otto metri con un diametro di quattro. Tutti i butti possedevano un pozzetto di spurgo sul fondo oppure una vasca di decantazione concava; sull’imboccatura superiore erano dotati di un chiusino realizzato in legno, pietra o tufo litoide. Ogni famiglia, costretta dalle autorità ad ottemperare alle norme igieniche, realizzava i propri butti per mezzo di maestranze specializzate che in molti casi recuperavano vecchie cisterne etrusche e medievali, come anche silos per il grano, o fratture naturali nel tufo che venivano opportunamente chiuse con murature perimetrali. I “butti” rappresentano per Orvieto un vero serbatoio di storia in quanto conservano gli oggetti utilizzati dalla cittadinanza nel lungo lasso temporale che va dal XIII al XVII sec.
Uno dei marcatori culturali per eccellenza è rappresentato dalla ceramica che i butti custodiscono in una perfetta sequenza temporale. Recenti studi testimoniano la presenza di vasai attivi in città a partire dal XIII sec., la cui produzione si modifica accogliendo già dal XV sec. ceramisti forestieri, portavoci di nuove tendenze stilistiche e conoscenze chimiche in grado di sposare i gusti delle committenze private fino al XVII sec. In molti butti sono conservati anche i segni delle epidemie che colpirono la città intorno alla metà del 1300, poiché le ceramiche rappresentative di tale periodo si ritrovano spesso associate a “tappi” sigillanti realizzati con cumuli di ceneri e strati di argilla e calce a testimoniare i rudimentali metodi di disinfezione adottati durante i periodi di crisi sociale. I “butti”, una volta esauriti, venivano chiusi ed accanto ad essi scavati degli altri in perfetta sequenza temporale. Nel Labirinto di Adriano sono presenti cisterne medievali di notevoli dimensioni recuperate in forma di “butti” per le soprastanti abitazioni; all’interno di essi gli scavi hanno permesso il recupero di boccali, coppe, catini rappresentanti di tutti i periodi produttivi rupestri compreso il periodo “d’oro” per la materia ceramica rappresentato da alcuni esemplari della classe rinascimentale del lustro o del “terzo fuoco”.
Riferimenti bibliografici:
Travaglini A., Il verde, il bruno, e il “prestigio” della ceramica orvietana nell’età medievale, in Della Fina G. M. e Fratini C. (a cura di), Storia di Orvieto, II – Medioevo, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, dicembre 2007, pp. 561 – 603.
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